Autolesionismo: quando a punirci siamo noi stessi, quel taglio, quel graffio, quella ferita sulla pelle fa meno male del dolore interiore.
Quando la ferita dentro di Noi è troppo grande facciamo di tutto per seppellirla, per oltrepassarla, per concentrarci su altro, oppure facciamo di tutto per buttarla fuori, per farla uscire, gridando in silenzio.
«Ci sono i tagli, sì, ma anche bruciarsi, colpire parti del corpo, ingerire degli oggetti, mordersi, il prendere farmaci in eccesso, il mettersi volontariamente a rischio di farsi male. E’ il modo di rendere concrete le emozioni, soprattutto nell’adolescenza quando il corpo diventa centrale con le grandi trasformazioni che affronta. Da bambino ad adulto: mi ri-gioco l’identità, così scrivo nel corpo le emozioni che non domino».
Paradossalmente, dice il Dott. Migliarese, i comportamenti autolesivi possono valere come un modo di sopravvivere, alleviando una pena attraverso un’altra pena di intensità minore. Quando ci si fa del male, si distoglie l’attenzione dal dolore psicologico per concentrarla sulle sensazioni fisiche.
Le ferite visibili, infine, possono essere anche un modo per rendersi meno invisibili.
Quando una persona arriva a questo gesto bisogna avvicinarsene con delicatezza, per non cadere nell’ambivalenza dolore / piacere, dovuta anche alla stessa origine neurobiologica risiedente nel sistema limbico.
Dott.ssa Claudia Florea – Psicologa Psicoterapeuta Viterbo e Online